Il 15 ed il
16 dicembre 2001 si terrà una manifestazione culturale sul "Brigantaggio" con
relativa borsa di studio per gli studenti, presso il Chiostro di S.
Agostino in Caserta a Via Mazzini. "Ovviamente non
è la Storia che ci hanno raccontato a scuola...quella se la sono
inventata." commenta il dr. Pompeo De Chiara, Delegato
provinciale “Associazione Culturale Neoborbonica”, che ha organizzato
la manifestazione culturale sotto il patrocinio del Comune e della
Provincia. Il programma è il seguente:
Sabato 15 dicembre 2001
· Ore 10.00 -12.30 :
Caserta, Chiostro di S. Agostino, via Mazzini - Visita delle scolaresche
alla mostra sul Brigantaggio - Dibattito sul tema.
· Ore 16.00 : Caserta,
Chiostro di S. Agostino, via Mazzini - Conferenza su “Federalismo e
Sud” - Sono invitate tutte le Associazioni Meridionalistiche
Domenica 16 dicembre 2001
· Ore 10.30: Caserta,
Chiostro di S. Agostino, via Mazzini - Presentazione libri “La Storia
proibita” di Autori vari e “Il Saccheggio del Sud” di V. Gulì.
· Ore 12.00: Caserta,
Chiostro di S. Agostino, via Mazzini - Premiazione lavori scolastici sul
“Brigantaggio” con contestuale consegna delle borse di studio.
· Ore 13.00: Aperitivo
con saluti
Ø Sabato 15 e Domenica
16 : Mostra sul Brigantaggio
Il dr. De Chiara ci ha
anche inviato alcuni allegati, di cui pubblichiamo di seguito tre
estratti, che illustrano come quella sul brigantaggio nelle nostre zone sia una storia
appassionante davvero da conoscere, comprendere e riscrivere.
Allegato
1: "Potete chiamarli Briganti, ma combattono sotto la loro bandiera
nazionale"
Allegato
2: Casalduni a ferro e fuoco
Allegato
3: telegramma sulle "Bande di ladroni infami" nella provincia di
Caserta
Allegato
1: Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera
nazionale
A proposito del
brigantaggio del Sud, stroncato In anni spietati dal Regno d’Italia, O’Clery
riporta voci di dibattiti parlamentari a Torino. Il deputato Ferrari,
liberale, che nel novembre 1862 grida in aula: «Potete chiamarli
briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete
chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due
volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo
vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi
tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una
città di 5 mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti»
(Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito
il 13 agosto 1861). O’Clery riferisce i dubbi di Massimo D’Azeglio
(non certo un reazionario) che nel 1861 si domanda come mai «al sud del
Tronto» sono necessari «sessanta battaglioni e sembra non bastino»:
«Deve esserci stato qualche errore; e bisogna cangiare atti e principii
e sapere dai Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no…
agli Italiani che, rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo
non abbiamo diritto di dare delle archibugiate». Persino Nino Bixio,
autore dell’eccidio di Bronte, nel ‘63 proclamò in Parlamento: «Un
sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia
là, signori, e se volete che l’Italia si compia, bisogna farla con la
giustizia, e non con l’effusione di sangue». O’Clery non manca di
registrare giudizi internazionali sulla repressione. Disraeli, alla
Camera dei Comuni, nel 1863: «Desidero sapere in base a quale principio
discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere
su quelle dei Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti
sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in
questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti».
Q’Clery fornisce alcune
cifre. Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863, l’esercito italiano ha
catturato «con le armi» e perciò fucilato 1038 rivoltosi; ne ha
uccisi in combattimento 2.413; presi prigionieri 2.768. Inoltre;
«Secondo Bonham, console inglese a Napoli, sistematicamente favorevole
ai piemontesi, c’erano almeno 20 mila prigionieri politici nelle
carceri napoletane», ma secondo altre stime 80 mila. I più -
indovinate - in attesa di giudizio, o addirittura del primo
interrogatorio, «senza sapere di cosa fossero accusati», in celle
sovraffollate: testimonianza di Lord Henry Lennox, un turista di rango
che nel 1863 visitò appunto le prigioni di Napoli.
Altro esempio: la
politica finanziaria del neonato Regno d’Italia. Non vi stupirà
sapere che l’Italia anche allora covava un deficit mostruoso. O’Clery
fornisce dati precisi di bilancio. Ma basterà un suo dato: il deficit
del Regno nel 1866 fu di 800 milioni di lire, «Cifra pari alla metà
delle entrate della Gran Bretagna e lrlanda», ossia del Paese allora
più ricco d’Europa. Deficit coperto da «prestiti e ipoteche sui beni
nazionali, vendita di beni demaniali e istituzione di monopoli»,
ovviamente coperti da stranieri, prodromo e causa della durevole
dipendenza italiana da interessi finanziari estranei. «Altra grande
risorsa fu la rapina ai danni della Chiesa», la confisca dei beni e
degli ordini religiosi, «che nel solo 1867 fruttò 600 milioni». La
condizione della Chiesa nel Regno viene così riassunta dal nostro
irlandese: «Esilio e arresto di vescovi; proibizione di pubblicare le
encicliche papali; detenzione di preti e sorveglianza della loro
predicazione; soppressione di capitoli e benefici e incameramento dei
beni; chiusura di seminari; leva obbligatoria per i seminaristi;
rimozione delle immagini religiose sulle vie e divieto di processioni».
Se il lettore d’oggi
troverà in questo riassunto qualche tratto anacronisticamente
sovietico, non è tutto. Leggendo O’Clery, finirà per chiedersi se i
cronici mali italiani che siamo abituati a considerare «retaggi
borbonici» (ottusità amministrativa, inefficienza e improvvisazione,
centralismo autoritario) o persino «fascisti» (tracotanza
guerrafondaia) non sarebbero invece da ribattezzare savoiardi o
piemontesi. L’enorme deficit del regno, scrive O’Clery, è dovuto
alle spese per mantenere «il più grande esercito d’Europa» e
formare «una marina imponente per numero e qualità», nel tentativo di
«recitare il ruolo di grande potenza». Quel costoso esercito fù come
noto sconfitto dagli austriaci a Custoza, per l’insipienza dell’«eroe»
Lamarmora (ma anche Garibaldi, che proclamò di prendere Monaco «in
quindici giorni», fu bloccato in Trentino da pochi jaeger). L’enorme
flotta corazzata subì a Lissa la nota umiliante sconfitta, contro navi
di legno.
Poteva mancare il ricorso
all’iniqua pressione fiscale? Non mancò. «Nel Regno delle Due
Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866,
sotto il nuovo regime, le tasse erano salite fino a 28 franchi a testa,
il doppio di quanto pagava l”’oppresso” popolo napoletano prima
che Garibaldi venisse a liberarlo».
La tassa sul macinato,
bersaglio polemico dei patrioti mazziniani quando l’applicava il
governo pontificio, «fù più che raddoppiata ed estesa a tutte le
granaglie, perfino alle castagne». Causa la fiscalità, vi stupirà
sapere che fu necessario organizzare «la lotta all’evasione»? Fu
organizzata, e manu militari. I contribuenti in arretrato
subivano «perquisizioni domiciliari» e durante queste «visite», che
evidentemente duravano giorni e notti, avevano l’obbligo di cedere ai
soldati «i letti migliori» nelle loro case. Ciò non impedì che il
Regno restasse sempre in pericolo d’insolvenza. Tanto che i titoli del
debito pubblico italiano «si vendono a 33 punti sotto il loro valore
nominale», al contrario del debito napoletano; che «fino al 1866 era
così solido, che i suoi titoli si ponevano al disopra del nominale».
Si dirà il prezzo fu alto, ma almeno il Sud fu raggiunto dalla
modernità, i piemontesi portarono un’amministrazione più razionale;
saranno stati ottusi, ma erano incorruttibili No. «La contabilità
pubblica si trovava in condizione spaventosa, ordini di pagamento non
autorizzati apparivano continuamente nei registri della Corte dei
Conti», e il caos favoriva «malversazioni di ogni genere».
O’Clery cita: «Nel 1865 il ricevitore
generale delle imposte a Palermo fuggi con 70 mila franchi; a Torino fu
scoperta una stamperia di tagliandi del debito pubblico e un impiegato
delle Finanze, processato per ciò fu assolto ...L’anno 1866 portò
alla luce le frodi degli impiegati incaricati della vendita dei beni
ecclesiastici; a Napoli un alto ufficiale di polizia fu arrestato per
essersi appropriato di fondi destinati ai pubblici servizi. Casi simili
se ne possono citare all’infinito», conclude O’Clery: Ma almeno,
uno stato militaresco, mise ordine nel disordine pubblico del Meridione?
Stroncò la mafia? Serafico, O’Clery dà la parola alla Guida della
Sicilia una guida turistica per inglesi, scritta da un certo Murray, che
metteva in guardia: «Le strade siciliane non sono più sicure come al
tempo del governo borbonico, il quale pur con tutti i suoi errori ebbe
il merito di rendere le sue strade sicure come quelle del Nord Europa».
Piacerebbe non crederci. Attribuire questi racconti all’animo papalino
e «reazionario dello storico. Purtroppo, qualcosa lo impedisce. L’Italia
vista dagli occhi di O’Clery ci appare sinistramente familiare. Per
noi lettori del Duemila, l’effetto è un déjà vu.
Allegato
2: CASALDUNI A FERRO E FUOCO
[…] Il 25 aprile del
1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu
promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a
Borgo San Donnino. Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo
promosso maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di
partire per Napoli agli ordini del luogotenente Generale Cialdini. Era il
3 agosto ed il caldo soffocante fiaccava le forze della truppa. Cialdini,
sapendo che l'ozio origina sempre i vizi, per mantenere in forma i suoi
soldati, li spedì sulle Mainarde a conoscere il terreno e a riparare i
fili del telegrafo che i partigiani sudisti avevano distrutto. L'11 agosto
il maggiore Melegari ricevette l'ordine tassativo di rientrare
immediatamente in Napoli con il suo battaglione. I giornali riportavano la
notizia della rivolta contadina di Pontelandolfo e Casalduni; poiché
ormai la stampa era solo filogovemativa, la notizia venne artatamente data
dalle redazioni della Luogotenenza. Il Cialdini era consapevole che
bisognava ubriacare l'opinione pubblica di sdegno contro i briganti, e
perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani più importanti, a
tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e
delle malvagità contadine. Le popolazioni del Sud venivano dipinte come
primitive, barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi
venivano fatti passare per briganti che scannavano e decapitavano i
soldati piemontesi. Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di
presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla
luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece
accomodare e gli disse: - Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro
del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il
generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare
la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini
massacrati. Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a
ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che
siano vendicati i soldati del povero Bracci. Infligga a quei due paesi la
più severa delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte.
Ha ben capito?. Melegari:- Signorsì, so benissimo come si devono
interpretare i desideri del generale Cialdini. Sono stato con lui in
Crimea e con lui ho fatto tutta la campagna del 1859, cosa devo fare. Cialdini
in un'altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva
dirigere le operazioni. Melegari partì con una compagnia di quattrocento
soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di
Guardia. Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi
quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano
della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono
duecento uomini, devo attaccare i briganti. - Maggiore, i briganti sono
tanti e bene armati. Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno! - rispose
l'ufficiale della guardia nazionale. Melegari: - Capitano, niente di
tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è
troppo forte. Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a
Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz. So cosa devo fare. Lei deve
occupare il promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei
ordini. Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia
nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini. Da quel
momento iniziò l'esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai
partigiani di Giordano .….. Ursini, conoscendo la storia del Piemonte,
conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di Cialdini,
conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano
idee di conquista, idee di sopraffazione dell'uomo sull'uomo, idee di
arricchimento di pochi a spese dei più, di libertà di pochi sui più;
idee di democrazia limitata, democrazia di ladri e ladroni; libertà di
imbrogliare la gente, libertà di fare brogli elettorali, libertà di
ingannare il popolo; idee di conquistare un regno felice e ricco, dove per
tutti c'era lavoro; idee di rubare ai Meridionali le loro ricchezze per
trasferirle al Nord, fece spargere per la città la voce che i piemontesi
stavan6 per arrivare. Tutti, o quasi, corsero sui monti. Rimasero in paese
solo qualche malato e qualcuno che non credeva ad una dura repressione;
qualche altro pensava di farla franca restando chiuso in casa. Alle
quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e
guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso
Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese.
Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece
disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna. Dovevano
aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le
informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi
esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa,
concentricamente. Le quattro compagnie ebbero il co mando
di carica alla baionetta dall'eroico Melegari e cominciarono la
carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti
fare per poi passare ad incendiarle. La prima casa ad essere bruciata fu
quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché
traditore Tommaso Lucente da Sepino. Sentendo gli spari e le grida dei
bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la
montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi. Un
certo Lorenzo D'Urso commerciante, fattosi sull'uscio per salutare i
soldati, fu crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e così
moltissimi cittadini inermi. L'eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo
perché appunto, la gente, avvertita, era scappata. Dopo aver messo a
ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti,
l'azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e
gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale
De Sonnaz. Dopo un' ora il tenente ritornò, scese da cavallo e
rivolgendosi al suo maggiore disse: - Possiamo tornarcene a San Lupo1 il
colonnello Negri ha distrutto completamente Pontelandolfo. Ho visto mucchi
di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera
carneficina!. Melegari: - Ci hanno fregati quelli del 36° fanteria!
Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la popolazione!. Dalle
alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi
sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri, si
sentivano impotenti di fronte a tanto orrore …… Molti volevano
attaccare i piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa,
visto il divario delle forze in campo …….. Giordano e i suoi
scortarono oltre duemila casaldunesi fino alle porte di Benevento. Una
volta in città Ursini chiese udienza al governatore. Fu incarcerato ! I
morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni, molti di più che a
Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed incendiate ……. A
Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il migliaio, ma
le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come mai è
stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70. Il
Popolo d'Italia , giornale filo governativo e quindi interessato a
nascondere il più possibile la verità sui morti, indicò in 164 le
vittime di quell'eccidio , destando l'indignazione persino del giornale
francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo intero. Ma nessuno
intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi. L'invasione del Sud
costò la vita, l'espatrio, il carcere ed il manicomio ad un milione di
persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma, una
cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della
Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto
cara la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere
carattere e coraggio. Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta
disprezzarono la morte. Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha
dimostrato di essere un codardo. Così il generale Cialdini, un vero
assassino e criminale di guerra, a Custoza scappò come un coniglio di
fronte all'esercito austriaco. Il colonnello Gaetano Negri , milanese
purosangue, scrivendo al padre dopo l'eccidio di Pontelandolfo, non
mostrò alcun segno di pentimento e di umanità. Questo signore fu eletto
sindaco del capoluogo lombardo negli anni ottanta. Riportiamo qui di
seguito uno stralcio di quella lettera:
Napoli, agosto 1861- Carissimo
papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete.
Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di
Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio commisero il più nero
tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli
venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara. Un
battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano
rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio
intero, che venne completamente distrutto. La stessa sorte toccò a
Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo. Sembra
che gli aizza tori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti;
in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti
ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono
gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta. Se invece dei briganti che,
per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si
fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo
sarebbe più giustamente inflitto, e i risultati più sicuri e più
pronti..
Una vera bestia immonda. Se simili
personaggi hanno fatto l'Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due
Italie: una ricca e prospera e l'altra povera. Questi personaggi hanno
distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini
migliori, mentre hanno costretto all'emigrazione una grande moltitudine di
Meridionali. Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla
sede dell'alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra
piemontese e quindi al mondo intero: "ieri all'alba giustizia fu
fatta contro Pontelandolfo e Casalduni" […].
Allegato
3: Telegramma sulle Bande ladroni infami della provincia di Caserta
PREFETTURA DI
TERRA DI LAVORO
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Spedito alle Autorità e
Comandanti Guardia Nazionale e Carabinieri Reali della Provincia
Bande ladroni infami dirette dal territorio
ancora soggetto Governo papale infestano nuovamente e cuoprono di misfatti
nostra bella Provincia. Ma è tempo che tresca esecranda sia finita. Dove
guardia Nazionale comprende nobile missione non possono sussistere
malfattori campagna: Guardia Nazionale Terra Lavoro non sarà seconda a
nessuna comprendere soddisfare sacri diritti più sacri doveri. Difenda
suo territorio quella di ogni Comune; avvisi Autorità, forze, popolazione
vicine di ogni imminente pericolo. Ai ladroni, ai loro fautori, ai
manutengoli è delitto lasciare più scampo. Guerra implacabile e
sterminio! Governo veglierà senza posa; sosterrà e premierà con
larghezza sforzi generosi; punirà esemplarmente malvagi. Il presente
sarà pubblicato in tutta la Provincia.
Caserta, 1° maggio 1865
Il Prefetto, DE
FERRARI |
Il
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Spedito alle
Autorita e Comandanti Guardia Nazionale e Carabinieri Reali della
Provincia di Caserta, il 1° Maggio 1865.
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