Ottobre 2001. Il fatto di suonare il basso elettrico,
dopo aver sperimentato a lungo la chitarra, mi sembra un privilegio che
stento ancora a spiegarmi completamente. Senza presunzione di completezza
e nei limiti delle conoscenze tecniche d’autodidatta, proverò ad
indagare le fonti remote della predilezione per quello che, pur
arbitrariamente, ritengo lo strumento più bello del mondo.
Se apriamo un dizionario della lingua italiana alla
ricerca del significato di “basse frequenze” nell’ambito della
musica, il meglio che ci possa capitare è una definizione del tipo:
“…parte più grave di una composizione musicale…”. Presa di per
sé è una spiegazione piuttosto sibillina che necessita d’alcune brevi
considerazioni di fisica. Una delle principali caratteristiche del suono
è la frequenza o altezza, cioè il numero di cicli completi che esegue l’onda
sonora nell’unità di tempo. Tale grandezza si misura in Hertz (Hz).
Alte frequenze originano suoni acuti. Basse frequenze originano suoni
gravi. Ebbene, mentre l’orecchio umano percepisce suoni che vanno da 16
a 20.000 Hz, quando parliamo di suoni gravi ci riferiamo a quella porzione
di spettro che, dai 16 Hz, non oltrepassa i 400. Personalmente, le basse
frequenze mi trasmettono un primitivo messaggio emozionale derivante,
probabilmente, dal fatto che esse arrivano prima al corpo e poi alle
orecchie (e quindi al cervello). Basse frequenze sono quelle del cuore, il
primo suono che ascolta il feto nel ventre materno. Basse frequenze sono
quelle del tamburo, che riproduce in maniera ancestrale proprio il battito
cardiaco. Basse frequenze sono presenti in molti canti religiosi, che
suonano tanto più mistici quanto più ne sono ricchi. Non voglio,
comunque, dilungarmi in un’analisi acustica esoterica delle frequenze
più basse. Mi limiterò a considerare semplicemente che l’evoluzione
qualitativa della riproduzione musicale avutasi nell’ultimo secolo ha
permesso la scoperta di nuovi margini dello spettro sonoro che l’uomo è
capace di percepire, soprattutto nella gamma delle basse frequenze.
Spostiamo allora, brevemente, l’analisi su quanto è successo negli
ultimi cento anni, cercando di valutare il ruolo assunto degli strumenti
capaci di produrre la gamma sonora che tanto ci piace.
Fra la
fine del ’800 e l’inizio del ‘900 le bande e le orchestre musicali
presentavano nei loro ranghi il basso tuba, uno strumento che consentiva
di esprimere forte volume e buona ripresa sonora nella zona più bassa
dello spettro. Il problema dei tubisti era il “fiato”. Infatti, il
peso e la difficile manovrabilità dello strumento non consentivano di
spingersi oltre la riproduzione della nota fondamentale e della quinta in
prima e terza battuta, limitando le linee cromatiche allo stretto
necessario.
Per
questo motivo il basso tuba fu sostituito, nel tempo, dal contrabbasso,
uno strumento più antico (risalente alla metà del ‘600) ma a lungo
relegato alla funzione di semplice raddoppio del basso eseguito da altri
strumenti come il cembalo e l’organo. La funzione di puro e semplice
sostegno dell’armonia fu oltrepassata grazie alle capacità espressive
dello strumento, consentite dalle tecniche del pizzicato, dello slap e
dall’uso dell’archetto. Inoltre il contrabbasso, seppur inferiore al
basso tuba per pressione sonora, poteva garantire quattro colpi
regolarmente scanditi sulle battute, che mantenevano in maniera più
solida il ritmo di fondo.
L’evoluzione tecnica sul contrabbasso fu opera dei
musicisti di jazz che, nell’arco di pochi decenni, conferirono allo
strumento una funzione non solamente propulsiva. Il lavoro sulle
improvvisazioni ritmico armoniche e l’adozione di fraseggi mutuati da
altri strumenti musicali, portarono il contrabbasso a livelli, in passato,
inimmaginabili. Già negli anni ’30 e ’40, assecondando l’esigenza
di rendere più udibili le loro performance, i contrabbassisti jazz
adottarono le corde d’acciaio al posto di quelle di budello e,
successivamente, iniziarono ad amplificare lo strumento.
Una
naturale evoluzione del processo d’espansione delle basse frequenze, fu
la comparsa del basso elettrico. Alla stessa maniera della chitarra, anche
qui gli impulsi sonori prodotti dalle corde in vibrazione erano captati da
uno o più pick-up e trasmessi ad un amplificatore. I primi esemplari di
basso elettrico furono realizzati nella prima metà degli anni ’30 e
cercavano di riprodurre il più fedelmente possibile il contrabbasso, nel
suono e nelle forme. Negli anni seguenti dalla posizione verticale
passarono a quella orizzontale, progressivamente riducendo le dimensioni.
Il contemporaneo sviluppo tecnico e timbrico dei pick-up rese, inoltre,
superflua la presenza della cassa armonica. La flessibilità di
riproduzione delle basse frequenze diventò, in pratica, illimitata. Nel
corso degli anni ’50 avvenne la definitiva consacrazione del basso
elettrico. Diventato un nuovo strumento a tutti gli effetti, interpretò
un ruolo di protagonista nella nascita della musica moderna, così come
oggi la intendiamo. I musicisti di jazz ebbero l’opportunità di
esibirsi in piccole formazioni, producendo uguale pressione e medesima
tavolozza sonora delle big band. I musicisti folk blues ricevettero un
ulteriore impulso nel cambiare il loro modo si suonare, ponendo le basi
per la nascita del blues urbano, del rithm’n’blues e, soprattutto, del
rock’n’roll. Il basso elettrico trovò particolare credito anche fra i
musicisti giamaicani, che, di lì a poco, avrebbero iniziato a produrre
una musica asciutta e immaginifica, in cui venne decodificato e
valorizzato il ruolo delle basse frequenze. Le sale da ballo di tutto il
mondo cominciarono a vibrare sotto l’impulso sonoro prodotto da quattro
corde tese su un pezzo di legno.
Da cinquant’anni a questa parte molte cose sono
cambiate. Una miriade di generi musicali si è sviluppata in maniera
indipendente e in diverse reciproche contaminazioni, originando un
gigantesco calderone. In ogni caso, le basse frequenze hanno continuato il
loro processo d’emancipazione. Il basso elettrico ha migliorato il suo
spettro dinamico e timbrico con la comparsa di strumenti a cinque corde e,
in un eccesso di megalomania, anche a sei corde. Persino nella musica
elettronica sono state progettate attrezzature espressamente dedicate alla
produzione di basse frequenze, spesso ai limiti dell’udibile e dotate d’innumerevoli
sfumature diverse. Medesima velocità d’evoluzione si è verificata
anche nel settore degli amplificatori e dei diffusori audio espressamente
dedicati al basso elettrico, con l’espansione della gamma sonora
riprodotta e la diminuzione del rapporto ingombro/potenza. Tutto ciò ha
ulteriormente valorizzato il ruolo dello strumento, che, di là da
qualunque notazione tecnica e stilistica, rimane ingrediente suggestivo e
aromatico in tutte le pietanze musicali.
Queste brevi argomentazioni credo siano sufficienti a
giustificare la predilezione per il basso elettrico e le magiche frequenze
che produce, legittimi corollari per il teorema secondo il quale l’accordo
non è mai quello stabilito se non lo suona anche il basso, la “…
parte più grave della composizione musicale…”.
Ottobre 2001
P.S. Commenti e pallottole vanno indirizzati, in …bassa
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