Storia del Blues: Robert Johnson
il leggendario blues singer del Delta
di Gianni Vescovo

Robert Johnson, costantemente citato come il più grande, il più espressivo e commovente autore di blues, è stato sempre circondato dal mistero.Conduceva una vita errante, era antisociale, schivo e pieno di dubbi morali, beveva moltissimo ed era molto timido. Era magro e attraente, di media altezza, con mani lunghe ed affusolate che spiegano il suo modo di suonare e la strana articolazione dei suoi accompagnamenti. Robert Johnson è stato un' influente compositore, cantante e chitarrista. Fu colui che creò le basi del rhythm & blues, suonava in modo molto sofisticato, usava con maestria il falsetto ed era abilissimo nell' uso del "bottleneck" aiutandosi con un collo di bottiglia o la lama di un coltello.Nei suoi versi satanici parlava di donne, alcool timori e dei suoi incubi notturni, chi lo ascoltava restava angosciato e nello stesso tempo estasiato dall' intensa atmosfera che egli sapeva creare con la sua chitarra che praticamente parlava. Moltissimi musicisti hanno ripreso le sue canzoni, cito per esempio: Muddy Waters, Alexis Korner, Taj Mahal, i Rolling Stones, che interpretarono “Love In Vain”, i Cream, che ripresero la famosissima “Crossroad Blues”, Ry Cooder, Blues Brothers, George Thorogood. In realtà Johnson è il personaggio che meglio incarna e simboleggia l'iconografia che lega saldamente l' Anima del blues al Diavolo. Tutta la sua vita è sempre stata avvolta da una fitta nebbia, non è certa neanche la sua data di nascita, che in molti la indicano come 8 Maggio 1911, per altri viene compresa tra il 1912 e il 1915, a Hazelhurst, minuscola località nei pressi di Jackson, Mississippi, da Charles Dodds e da Julia... ( malgrado le mie ricerche non sono riuscito a trovare nulla sul cognome della madre), e siccome al momento della nascita, la madre viveva con Noah Johnson, è da quest'ultimo che il piccolo Robert prese il cognome. Nel 1920 la madre gli diede un "nuovo" padre, Robert Saunders, e con lui si trasferirono nel villaggio di Commerce, nel nord del Delta, dove lavorano come stagionali nelle piantagioni di cotone; qui Robert apprende l' uso dell' armonica da qualche vecchio del posto, e si avvicina alla chitarra. Momento fondamentale della sua vita è l' incontro e l' amicizia con Willie Brown e Son House che lo perfezionarono nel suonare l' armonica e gli insegnarono i primi rudimenti del "bottleneck", anche se il giovane Robert ebbe influenze anche dal grande Charlie Patton e dal cantante Hambone Willie Newbern. Così egli abbandonando la famiglia, segue come un' ombra Brown e House, carpendo e assimilando e via via cercando di evolvere le loro tecniche e i loro segreti. Da quel momento e praticamente impossibile seguire i suoi spostamenti, e che malgrado le scarse notizie egli lascia tracce del suo passaggio dalla zone del Delta a St. Louis, dal Tennessee all' Arkansas, alimentando la sua fama di attaccabrighe, donnaiolo e smodato bevitore. Un giorno, dopo l' ennesimo alterco con i suoi compagni Willie Brown e Lonnie Johnson che gli consigliarono di continuare solo con l' armonica e di abbandonare la chitarra e il canto in quanto era negato, Robert scomparve nel nulla senza lasciare tracce di se, per quasi un'anno. Quando torna, sa più di tutto quello che i vecchi bluesman abbiano mai saputo. Non c'è niente che non sappia suonare, nè nessuna profondità della disperazione umana dove lui non sappia tuffarsi. Le cronache dell' epoca, le poche, lo descrivono cambiato al punto che sembra dedito a riti satanici, e che lui stesso più volte narra nei suoi blues ( Me And The Devil Blues, Crossroads Blues ) di aver venduto l' anima a Papa Leg, una divinità nera, legata a riti voodoo, che aleggia di notte sugli incroci stradali (e la vicenda è intensamente narrata in Crossroads Blues). Nel 1931 si lega per un breve periodo a Ester Lockwood, il cui figlio, quasi suo coetaneo, grazie alla sua influenza diverrà in seguito il chitarrista blues Robert Jr. Lockwood. Tornato on the road, costituisce un duo con il pacioso Johnny Shines, che fu forse il solo amico di Johnson, e quello che lo descrisse meglio ai posteri, indicandolo come personaggio che si dibatteva nel liberare le paure e i conflitti interiori mai risolti dentro di se. Nel 1936 da Ernie Oertle, viene segnalato alla Vocalion American Recording Corporation; per cui il 23, 26 e 27 Novembre di quello stesso anno affronta le sue prime incisioni in una squallida stanza del Gunter Hotel di San Antonio nel Texas registrando d' un fiato ben sedici brani tra i quali Crossroads Blues , Sweet Home Chicago, If I Had Possesion Over Judgement Day, e nel giugno dell' anno successivo in una stanza di un palazzo per uffici a Dallas prendono corpo gli ultimi brani della sua intensa carriera ( I Believed I Dust My Broon, Hellbound On My Trial, Come On My Kitchen ). In questi ventinove blues, resta la preziosa testimonianza della folgorante storia di Robert Johnson. Il 16 Agosto del 1938, viene rinvenuto cadavere una sordida stanza d' albergo di Greenwood, dopo un concerto nel vicino Three Forks. Le ipotesi più accreditate del suo decesso potrebbero essere: avvelenato da una donna o da un marito geloso con stricnina o naftalina, intossicato dalla pessima qualità del whisky clandestino adulterato, oppure accoltellato lungo una buia strada e trascinatosi penosamente fino allo squallido albergo, o forse ucciso dai suoi blues che lui sapeva così bene esorcizzare. Persino sul luogo dove giace la sua tomba esistono dei dubbi: chi dice a Morgan City, vicino a Three Forks, chi invece a Quito, anch'essa in Mississippi. Entrambe le lapidi non riportano alcun nome. Questo è il prezzo che Robert Johnson ha pagato per entrare nella leggenda, anticipando profeticamente l'immagine della morte violoenta, clamorosa, "voluta" e "cercata", tanto cara all' estetica del rock moderno.

(*)"Ef anybody axes you, who wuz it writ dis sons,

tell' em wuz a dà k skinned nig' er, wid a pair o blue duckins on"

 

[" Se qualcuno ti chiedesse chi a scritto questa canzone,

digli di un negro dalla pelle scura e con un dannato paio di piedi piatti"]

 

(*) Si tratta di un' inglese dialettale, trascitto da Alan Lomax, ascoltando alcuni folksinger in queste ballate tradizionali, nel 1909.

 

ESSENTIAL RECORDS

 

King Of The Delta Blues 

(1966 - 1970)

Complete Recordings

(1990)

All Time Blues Classic

(1996)

Delta Blues Legend

( ? )

Cross Road

(1936)

Blues Masters

  ( ? ) 

Steady Rollin’ Man

  ( ? ) 

Esiste, inoltre, una discografia parallela, costituita da Bootlegs e collaborazione in varie incisioni con alcuni bluesman del suo tempo, notizie reperibili su Internet effettuando una ricerca approfondita. Chiunque ne abbia bisogno, può contattarmi tramite la redazione di Casertamusica: redazione@casertamusica.com

L’ approfondimento

Analizziamo il brano che forse e’ quello piu’ conosciuto ed eseguito di Robert Johnson.

SWEET HOME CHICAGO (1)
(registrato a San Antonio, Texas, il 23 Novembre 1936, nella prima di cinque session)
Ooh, baby don't you want to go?
Ooh, baby don't you want to go?
Back to the land of
California (2), to my sweet home Chicago
Ooh, baby don't you want to go?
Ooh, baby don't you want to go?
Back to the land of
California, to my sweet home Chicago
Now one and one is two, two and two is four
I'm heavy loaded baby, I'm booked, I gotta go
Cryin' baby, honey don't you want to go?
Back to the land of
California, to my sweet home Chicago
Now two and two is four, four and two is six
You gonna keep
monkey'in (3) 'round here friend-boy (4),
you gonna get your business all in a trick
But I'm cryin' baby, honey don't you wanna go

Back to the land of California, to my sweet home Chicago
Now six and two is eight, eight and two is ten
Friend-boy, she trick you one time, she sure gonna do it again
But I'm cryin' hey, baby don't you want to go
To the land of
California, to my sweet home Chicago
I'm goin' to California, from there to Des Moines, Iowa'y (5)
Somebody will tell me that you, need my help someday,
cryin', hey hey, baby don't you want to go
Back to the land of
California,
to my sweet home Chicago

Trad: Oh, baby perche non vuoi andare?, perche’ non vuoi tornare indietro,

in California, nella mia dolce casa di Chicago?

Se uno e uno fa due, e se due e due fa quattro, sono io, baby, che sono

stanco e piangente se tu non vuoi tornare alla terra del dolce miele e di

latte che e’ la California, nella mia dolce casa di Chicago.

Se due e due sono quattro, e quattro e due son sei, lei tiene ancora la

scimmia per la mano e tenta la fortuna con il suo giovane amico, perche’

non vuoi tornare indietro, in California nella mia dolce casa di Chicago?.

qualcuno, mi dira’ che lei un giorno o l’altro avra’ bisogno del mio aiuto,

e anche se piangera’, non faro’ nulla se lei non tornera’ nella dolce terra

di California, nella mia dolce casa di Chicago.

 

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(1) L’ispirazione di questo brano, secondo Patrick Clark, pare che sia stata presa da un brano di Kokomo Arnold’s “ Old Original Kokomo Blues” incisa nel 1934.

(2) Johnson confonde Chicago dell’ Illinois con quello della California, e non essendoci mai stato prima della registrazione, metaforicamente usa la California, come terra di latte e miele e cioè di prosperità.

(3) Altra metafora dialettale traducibile come la scimietta che con la mano distribuisce i biglietti porta fortuna.

(4) E’ un sinonimo della parola “amico” quando detta tra uomini.

(5) Praticamente intraducibile. O si tratta di una forma dialettale stretta, oppure una frase idiomatica per chiudere la strofa in sincronia con la battuta musicale.

 

 

Una nota: La versione di “Sweet Home Chicago eseguita dai Blues Brothers nell’o monimo film, viene registrata, con testi e musica di Herman Parker e Copyright 1971, per la EMI. Sto effettuando ricerche in merito, e non appena avro’ notizie, le pubblichero’. Ma non c’è dubbio che la versione più recente e completa delle sue incisioni sia affascinante, comoda e pulita, con un avvincente libretto di accompagnamento. Chi riuscisse però a mettere le mani sul frusciante vinile degli anni Sessanta, poi ristampato decine di volte, entrerà in contatto con la vera anima buia e ombrosa del suo blues, come se uscisse dalla squallida stanza del Gunter Hotel o dalle umide mura del magazzino di Dallas. Il blues non ha bisogno delle tecnologie, ma di amore.

 

Gianni Vescovo

 

 

 

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