Sembra una cosa semplice comunicare il 18 settembre del 1999 ma in effetti non è una cosa molto semplice.
Bisogna sempre fare i conti con quello che hai, con il posto dove ti trovi o pensi di
trovarti, con i chilometri che ti dividono da una normalissima presa
telefonica, da una stanza d'albergo che ti hanno assegnato o che forse non ti hanno mai assegnato,
dal tempo che ti è concesso perché tu possa assomigliare ad un normale essere umano che di tanto in tanto si ferma a
pensare e riflettere sul da farsi o non farsi per il resto delle ore che ti restano per guadagnarti la medaglia all'onor civile in testa ad un esercito di miserabili che scrutano la tua vita come fosse la loro.
La media è di 500 km al giorno. Ore di viaggio interminabili che ti accompagnano nelle piatte autostrade tedesche dove i lavori in corso stanno a significare
che il marco è sulle strade e vola insieme a questa specie di nascente Europa che chiaramente vede il
"krukken" a timoniere indiscutibile del secolo che verrà.
Ma comunque non si comunica.
Niente da fare.
Eppure devo dire che il pubblico tedesco è un pubblico eccezionale,
attento alle sfumature di ogni tipo, raccolto nell'ascolto, puntuale nell'attendere l'ultimissimo respiro prima di
applaudire, critico ma di un critico competente, competente non per cultura ma per abitudine ed educazione per il rispetto delle arti in
genere. Ora rispondo al telefono...
...
Finalmente una città che respira internazionalità.
Non si ha la sensazione di essere in Germania ma tranquillamente camminando puoi pensare di trovarti a New
York dove la multirazzialità ha esaltato il carattere della città che vive su idee fatta di
più idee che sommate alle idee già pensate rafforzano in te l'idea che dovremmo un attimo non idealizzare soltanto l'idea del convivere con gli altri esseri umani ma realizzare un idea di convivenza che ben si adegui al millennio che andiamo ad affrontare.
Entusiasmo per favore.
Entusiasmo please.
Ci culliamo su quello che abbiamo fatto ieri e su quello che probabilmente faremo domani ma non pensiamo mai a quello che dobbiamo fare dopodomani
perché il domani abbia un senso di passaggio e non di arrivo.
Ho passeggiato a lungo.
Ho guardato i luoghi, le cose, le facce, le espressioni, scrutato qualche pensiero di persone attente a guardare le cose degli altri come per guardarsi dentro e decidere di sistemare quel che naturalmente non si sa
perché c'è sempre da sistemare.
Le scarpe della persona guardata sono sempre quelle che mancano nella nostra scarpiera.
Scarpe che hanno fatto percorsi diversi, sono entrate in stanze diverse,
tolte e ritolte per amore o semplicemente per sesso perché le prime cose che vengono buttate all'aria nello spogliarsi sono di solito le scarpe.
Povere scarpe.
Ci portano nei posti dove ci fa piacere sostare e poi le buttiamo all'aria come se fossero solo loro le responsabili di una disfatta d'amore o di una guerra che purtroppo ancora 1.000 soldati combattono per 1.000 madri che aspettano pregando 1.000 stelle per il ritorno dei loro cari.
Ho appena fatto qualche metro e tutti questi pensieri mi attraversano ricordandomi di non dimenticare di scordarmi di essere un piccolo essere umano che in mezzo a tutta questa ricchezza di colori di odori di sensazioni nuove di seni dirompenti di occhi azzurri di gambe modellate da un essere sicuramente superiore,
ascolta il rumore di un richiamo che viene da lontano, un richiamo che a volte soffre e a volte sorride di un sorriso leggero che sorride all'attesa di uno squillo di telefono solo per il piacere di sentirsi sorriso dal sorriso di chi sorride al pensiero che questo possa far piacere a chi per sorridere ha bisogno del sorriso dell'altro.
Fausto Mesolella
Articoli e foto
© "Caserta
Musica & Arte" |
|